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Intervista con… Gino Berardi

Quest’anno la stagione ci sta regalando giornate solari e calde anche a Novembre. Visto il bel tempo mi avvio a piedi nello studio di Gino Berardi, artista di fama internazionale. Le sue opere sono state esposte nelle principali gallerie d’arte in Italia e all’estero tra cui Barbados, America, Francia, Svizzera, Germania, Inghilterra ed ha partecipato a numerosi premi nazionali. Nato a Valle Grazietti, una piccola frazione di Pietranico nel 1945, dopo la seconda guerra mondiale, anni in cui i disagi erano tanti. Ha vissuto la seconda giovinezza ad Alanno, dove ha conseguito il diploma in agraria, poi a Pescara ed ha soggiornato per un decennio in Svizzera nelle città di Ginevra, Zurigo e Lugano. Qui ha lavorato nel campo alberghiero e completato la sua formazione artistica. Tornato in Italia negli anni settanta, dopo il secondo diploma, entra come docente all’istituto alberghiero di Pescara, dove rimane per ben trentadue anni. All’interno del suo studio a Montesilvano ci si immerge nell’anima dell’artista. Sono tanti i premi, le poesie, i diplomi e le opere artistiche. Ammirandole si intuisce nell’immediato il cambiamento artistico, l’evoluzione che ha avuto negli anni: da impressionista-paesaggista all’astratto informale. Saltano all’occhio nell’immediato le differenze tematiche ed artistiche: dapprima paesaggi dai colori tenui con segni meno decisi e poi l’occhio si sofferma alle miriadi di colori con segni determinati forti ed astratti. Segni che prendono vita in un tripudio di colori.  Ma è a casa che Gino Berardi trova la sua fonte di ispirazione per la sua arte astratta, luogo intimo e riservato a pochi.

Come nasce la passione per la pittura?

Inconsciamente già da piccolissimo. Alle elementari disegnavo i miei paesaggi alla lavagna. In qualsiasi momento mi soffermavo a disegnare ciò che mi circondava, vinsi anche un premio. A 18 anni, periodo in cui andai in Svizzera, sviluppai ancora di più l’amore per l’arte. Mi facevo regalare dai falegnami piccole tavole in legno su cui disegnavo i paesaggi che poi regalavo ad amici e colleghi e alle volte anche a clienti che mi sostenevano ed incoraggiavano. La passione era forte, mentre gli amici uscivano per andare a ballare o  passeggiare, io andavo a visitare le gallerie d’arte a vedere le mostre. Lì incontrai Max Ernst e capii che l’arte era la mia vita. Comprai la mia prima valigia con gli attrezzi per la pittura e da lì non mi fermai più. Nel 1972 rientrai in Italia ed iniziai a partecipare a concorsi, estemporanee e fare le mie prime personali.

Gino il tuo percorso artistico ha avuto negli anni una trasformazione. La ricerca costante e lo studio ti hanno portato a cambiare nel tempo stile e forma. Sei passato dall’impressionismo all’astratto informale, ci spieghi meglio?  

Ho coltivato l’impressionismo per più di trent’anni, pian piano ho iniziato a fare delle opere astratte dove spesso si ritrovano dei simboli impressionistici. È avvenuto tutto gradualmente. Continuo ancora a dipingere questo genere ma nelle mostre porto l’ultimo periodo. In alcune occasioni ho fatto delle retrospettive con il primo e secondo periodo.

In molte opere pittoriche vi sono elementi figurali tra questi, il gallo e il cocktail, perché.

Nell’ultimo decennio, dopo aver letto un libro edito da una casa editrice svizzera che racconta la nascita del cocktail, mi sono appassionato del gallo. Il libro racconta che in America nel 1820 dopo un combattimento, il padrone del gallo vincente, invitò tutti a casa sua per un drink. Ma inaspettatamente andarono a festeggiare la vincita in molti. All’epoca non si usava ancora miscelare tra loro più ingredienti ma lui fu costretto a farlo per via delle poche bottiglie, era inverno e fuori c’era la neve e gli venne in mente di aggiungere la neve nell’intruglio. Così nacque il cocktail, che in italiano significa “coda di gallo”. Questa storia, tra leggenda e storia, mi ha talmente coinvolto che ho iniziato a raffigurare i galli e il cocktail in tutti i miei quadri dove non manca mai, un cuore, visi di donne, chiavi di violino, bicchiere stilizzato, la scala. Il cocktail si beve in occasioni conviviali e quindi questi elementi portano tutti all’incontro tra persone. Segni e sogni a volte inserisco anche dei fiori in segno di omaggio per il gallo. Tutti simboli stilizzati che si devono cercare nell’opera.

di Elena Costa

Redazione

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