Classe ‘77 con un bagaglio di esperienza da far invidia a molti, il giovane Enrico Melozzi è compositore, direttore d’orchestra, violoncellista e produttore discografico. La sua storia nel grande mondo della musica inizia fin da bambino, quando comincia ad ascoltare le registrazioni del nonno e a strimpellare con la sua chitarra. Nonno che non ha mai conosciuto ma con cui sente un profondo legame affettivo. Nipote d’arte, Enrico è un fuoriclasse abruzzese, con la musica nel DNA, si è sempre contraddistinto dagli altri coetanei per il suo temperamento, il suo idolo è Mozart tanto che i compagni delle scuole medie gli attribuivano il soprannome di Melozart. La sua carriera esplode dopo aver lavorato come assistente di Micheal Riessier e da quel momento la sua carriera è stata in continua ascesa. Nell’ultimo festival di Sanremo lo abbiamo apprezzato come direttore d’orchestra dei Maneskin e Fasma, e nell’arrangiamento di alcuni brani ma il Maestro Melozzi in queste ultime cinque edizioni ha diretto per più artisti, tra questi: Noemi (2012 e 2014); Achille Lauro (2019); Pinguini tattici nucleari (2020) e moltissimi gli arrangiamenti di brani musicali. Lo raggiungo telefonicamente e iniziamo la nostra chiacchierata in maniera molto informale.
Quale dei tuoi ruoli professionali ti ha dato più gratitudine e senti più tuo?
Fin da piccolo il mio sogno era fare il compositore e mi ha dato grandi soddisfazioni. Ultimamente dirigere l’orchestra è diventato il lavoro principale insieme a quello del compositore, sono i due ruoli che mi danno più soddisfazione, anche se spesso suono il violoncello con Giovanni Sollima e Cento Violoncelli.
Tuo nonno era un autodidatta, è grazie a lui che ti sei avvicinato alla musica?
Nonno era chitarrista per passione, come lavoro faceva il geometra ma era matematico, scacchista, latinista, grecista… non si fermava mai. Non aveva avuto i mezzi economici per andare all’università ma ha sempre studiato, tanto che molti matematici delle università si rivolgevano a lui per risolvere problemi. A Teramo ha fondato il circolo degli scacchi, tuttora aperto. È mancato nel ‘73 e non l’ho mai conosciuto ma grazie ai racconti della famiglia l’ho sempre sentito vicino. Mi ha lasciato un’eredità genetica, lui sognava un nipote musicista, sono sicuro che veglia su di me… Da lui ho ereditato una chitarra stupenda che ha 200 anni con cui provo i pezzi che scrivo. Era un chitarrista classico raffinato, eseguiva le musiche a casa per pochi intimi. Era un autodidatta d’altri tempi, e una volta esserlo era un valore aggiunto. Suonava e studiava con chitarristi come Giuliano Giulietti con cui condivideva questa grande passione. Era un grande. Ascoltavo le sue registrazioni e studiavo la musica, guardavo i suoi spartiti…cercavo pian piano di leggerli… mi appassionava molto. Poi con il computer ho imparato tantissimo. Copiavo innumerevoli composizioni di Mozart, Beethoven, a quei tempi non ero capace di leggere ed ho imparato così… mi divertivo a scomporre la musica, modificarla. Quell’esperienza per me è stata la più importante. Con quel gioco in realtà stavo facendo esercizi di scrittura, composizione, contrappunto, armonia, e poi me lo sono ritrovato quando ho iniziato a studiare musica seriamente e ho dovuto dare dei nomi alle regole che avevo già imparato… all’inizio le chiamavo note tristi, allegre, accordo blu o nota rossa. Tuttora è rimasto il mio gioco preferito compongo con i programmi di oggi per poi portarla in orchestra e farla leggere. A 8 anni studiavo pianoforte ma non mi piaceva la metodologia di studio del maestro, erano pezzi noiosi, così facevo dei concerti da solo non suonavo mai i pezzi che mi dava. L’approccio era sbagliato, secondo il mio punto di vista questo modo di insegnare allontana i giovani. Non ho idea di quanti talenti abbiamo perso per strada per questo modo anti creativo. Il musicista va preso con l’entusiasmo, prima, e poi con la tecnica. Con me non ci sono riusciti ma ci hanno provato in tutti modi a farmi passare la voglia di suonare. A 11 anni dopo un incidente stradale, che mi ha costretto a stare fermo per molto tempo, ho iniziato a studiare seriamente, e sono entrato al conservatorio a 15 anni.
La tua carriera è in continua ascesa. Qual è la tua fonte di ispirazione? Cosa ti da più energia?
Mio nonno, quella è stata la spinta genetica. Poi mi sono appassionato a Mozart, quando vidi il film Amadeus, per la prima volta, mi colpì talmente tanto che era diventata la mia ossessione. Andavo tutti i giorni a casa del mio compagno per vedere il film, fino a quando non mi regalò la videocassetta, ma non avevo il video registratore… (sorride ricordando l’aneddoto). Impazzivo per la figura che il regista aveva dato a Mozart, per la lettura che dava all’artista, veniva fuori la vera figura “fuori dalle righe”, di punk, e la parte geniale nel creare le composizioni. Guardavo il film e mi sentivo rapito da tanta grinta. Era il mio idolo, parlavo solo di Mozart, tanto che mi chiamavano Melozart (sorride nuovamente, ndr). Poi mi sono appassionato ai Queen a Pino Daniele e tanti altri artisti. Alternavo il violoncello alla musica punk, avevo anche dei gruppi con cui suonavo, poi tornavo a casa e studiavo le composizioni classiche. Mi interessava la musica come mezzo per raggiungere le persone. Suonavo per arrivare all’obiettivo.
Quest’anno ti abbiamo apprezzato la tua professionalità e gioito per il tuo successo al Festival di San Remo con i Maneskin. Quanto hai apprezzato la collaborazione con loro e con gli altri artisti?
Quando mi dai un pezzo rock mi inviti a nozze, conosco il linguaggio perfettamente. Mi piaceva il brano, è stato un lavoro rigorosissimo, come sempre, ma non ho avuto difficoltà. Ci metto i miei tocchi nella partitura senza stravolgere il pezzo, deve essere potenziato e mai snaturato, perché il rischio di cambiare la canzone è facile, e loro hanno amato da subito il mio lavoro, sono impazziti di gioia. Mi conoscevano di fama e non vedevano l’ora di iniziare con me. L’orchestra dopo la prima prova è rimasta sconvolta positivamente, erano tutti entusiasti. Nel mio lavoro ho le idee chiare, mi piace coinvolgere ed entrare in sintonia tutta l’orchestra e sviluppare un rispetto reciproco. Devono essere tutti ‘nel pezzo’ e la parola d’ordine è anche divertimento. Nelle ultime cinque edizioni ho lavorato con diversi artisti e su molte Cover, anche se il gruppo aveva un altro direttore, volevano il mio arrangiamento ed è sempre andata molto bene. Mi sono sempre trovato benissimo con l’orchestra, ho imparato tantissimo, la prima volta non conoscevo le regole e l’organizzazione, oggi è tutto diverso.
La musica unita all’arte è vita. Quanto è importante per te la musica?
Ho tante altre passioni anche se l’85% del tempo lo passo a suonare. Mi piace leggere, seguire la cronaca nera, seguire l’evoluzione dei casi. Mi piace la comicità, chi mi conosce sa che sono scherzoso. So far divertire ma prendo il lavoro molto seriamente. Durante le prove sono severissimo ci sono delle cose che non sopporto, accetto le sviste, può succedere, ma non l’errore anti musicale. Quando dirigo mi immergo totalmente in quella magia, sono tra la musica e l’orchestra e se vengo disturbato perdo le staffe. Però riesco a chiedere scusa e a farmi perdonare.