di Antonio Farchione
Ho conosciuto Pietro La Barbera in uno dei suoi programmi di successo, “L’altro sono io”, per un’intervista a cui mi sottopose; era l’11 settembre 2020, un giorno speciale, in quanto ricorreva l’anniversario della caduta delle Twin Towers.
Pietro è una di quelle persone che riesce subito a entrare in relazione con l’interlocutore. Dopo un po’ che ci parli, hai la sensazione di conoscerlo da una vita. Pensi: “Ma è normale. È un uomo del mondo della comunicazione, fa parte del suo personaggio”. Poi scopri che di mestiere fa altro. Pietro è un dipendente della Regione Molise e lavora al servizio Risorse Umane; “è il lavoro più bello che mi potesse capitare – ama ripetere – sono quello che in Regione annuncia belle notizie a coloro che, avendo partecipato a un concorso, hanno vinto e, dunque, predispongo loro i documenti da firmare”. Pietro La Barbera qualche decennio fa era in una compagnia teatrale e i suoi “ragazzi”, come ama chiamarli, hanno contribuito a creare Molise Cinema la cui prima edizione risale al 2003. Nel suo cammino professionale c’è stata anche un’opportunità che, se l’avesse colta, avrebbe forse cambiato il corso della sua vita: lavorare in un film con Massimo Troisi e Lello Arena. Quando racconta questo aneddoto non si coglie nessun rammarico. Il diniego non fu l’aspetto economico, ma una parola data a uno studio di commercialisti a cui aveva promesso di lavorare per loro durante il periodo estivo, proprio quando avrebbe potuto recitare sul set con quei grandi della comicità italiana tra i ciak e le cineprese.
Un uomo di altri tempi, starete pensando. Sicuramente Pietro è una persona che dà un grande valore agli impegni presi, a tal punto da condizionare consapevolmente le pieghe che avrebbe potuto avere il suo futuro lavorativo e non solo. “Non ho rimpianti – mi dice Pietro – mantenere la parola data è per me molto importante. E poi, guardami, sono felice, oggi faccio comunque quello che veramente mi piace. Sono anche riuscito a ottimizzare il tempo che ho a disposizione per concretizzare i tanti progetti che ho messo in piedi”.
Non si può negare che Pietro è un vulcano di idee, è una forza della natura, è un esempio di cosa voglia dire essere entusiasti. È la prova vivente di come una passione possa essere concretizzata senza che il corpo e la mente, che riposano solo due ore per notte, avvertano la fatica. Lo stipendio da dipendente pubblico è l’unica sua fonte di guadagno, le attività extra lavorative sono il risultato di una solitaria organizzazione che, da più di dodici anni, lo vedono impegnano principalmente nella conduzione di una trasmissione radiofonica “Desideri Distonici”, un gradevole mix di musica vintage e interviste a personaggi famosi, ma anche nella ideazione di diversi programmi tra i quali “Senza tempo”, in cui donatori di voce leggono brani scelti di qualunque genere, “Quasi Paradiso”, dedicato a storie di persone che hanno dimostrato che è possibile fare profondi cambiamenti nella vita, “Cogli l’attimo” e “L’Altro sono io” con interviste che mettono a nudo la parte più intima dell’ospite invitato, “Il respiro delle cose”, sulla spiritualità e la cultura degli indiani d’America, “Non solo cibo”, in collaborazione con una coach alimentare e “Economia della felicità”, alla ricerca di questo sentimento nella quotidianità di ognuno di noi.
Veramente tante iniziative, che quasi si stenta a credere che possano essere gestite da un solo uomo. Ho provato a chiedergli se avesse un segreto da svelarmi, così da giustificare tanto dinamismo, la risposta è sempre la stessa: “Passione, solo passione”.
La passione che Pietro La Barbera invoca, è quella di un visionario, come ce ne sono stati tanti nella storia dell’umanità, che, aiutato dall’amatissima moglie Florence, “la mia musa ispiratrice – come la definisce Pietro”, cieca dalla nascita, non vuole privare il buio, indotto dalla cecità non solo fisica, di lasciarsi rischiarare dalla bellezza, nelle più diverse declinazioni donateci dalla vita.
Ecco svelato il segreto di Pietro che, per certi versi, mi ricorda il regista indipendente Cristiano Bortone, autore del film Rosso come il cielo in cui si narra la storia vera di Mirco Mencacci, non vedente a causa di un incidente di cui rimane vittima da giovane, che diventerà montatore del suono di grande talento. Ebbene, in una delle tante interviste, Bortone disse che la sua pellicola, così tanto premiata, voleva narrare “il diritto di tutti noi a lottare per la propria individualità, anche quando c’è un mondo intorno che ci fa credere che questo non sia lecito o non sia possibile”. Pietro e la moglie sono un po’ come Don Giulio che, nel film di Bortone, è l’illuminato educatore che aiuta Mirco, quando era bambino, a reagire alla sua cecità e, spronandolo ad allenare i suoi talenti, lo interroga con queste parole: “Hai cinque sensi, perché ne vuoi usare solo uno?”.
Per Pietro e Florence il vero buio non è la cecità in cui si trovano molte persone, ma è qualcosa di più profondo e diffuso che, secondo il sociologo Bauman, rende questa società contemporanea liquida. L’attuale società è il riflesso di una superficialità valoriale in cui i valori, appunto, sono solo vuote parole che rimbalzano velocemente nel mondo dei social media quel tempo necessario che un altro valore venga proposto da un qualche abitante del web, in attesa che anche questo venga spazzato via da chissà quale altro valore, e così all’infinito.
La concretezza del lavoro portato avanti da Pietro La Barbera è nel far passare il concetto che la condizione di non vedente è una normalità che non implora pietismi o sensi di colpa. Una dimostrazione di “quante cose si possano vedere con le orecchie”, è l’ultima grande iniziativa di Pietro: Il Teatro al buio. L’esordio c’è stato con un’opera di Jeanluc Giadima dal titolo Cotier le mimò, in cui gli attori, attraverso una lettura carica di emotività, di espressività, hanno coinvolto il pubblico solo ricorrendo alla voce.
Un ulteriore modo attraverso il quale Pietro propone, ispirato dalla sua musa Florence, in una società in preda a una liquefazione dei suoi valori, un virtuoso processo di solidificazione con il quale mette sullo stesso piano vedenti e non vedenti, nella consapevolezza che ognuno nasce con la propria dote di difficoltà. La vera differenza che contraddistingue un individuo da un altro non è l’avere o meno la vista, ma quanto si è abili nel saper cogliere il valore della vita, nonché quanto si è in grado di saper vivere questo dono con intensità, non rinunciando mai ad affermare la propria identità.
Giorno dopo giorno, Pietro e Florence sono i testimoni che questo è possibile.